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Qui di seguito la relazione di Andrea Del Re
Cari Amici,
in questi giorni si svolge il summit internazionale COP 27 in Egitto e da questo tema di attualità ho pensato di offrire alla nostra riflessione un argomento che ormai ha cambiato The way to look al mondo ed alle inevitabili correlazioni che ci legano gli uni agli altri e non solo e tanto all’interno del nostro stato e della nostra comunità, ma soprattutto ormai quella transnazionale: ormai siamo cittadini del mondo.
Tempo fa lessi sul Sole 24 Ore un articolo assai interessante del Prof.Sergio Fabbrini che sosteneva come la guerra in Ucraina dimostrasse il fallimento della globalizzazione.
Perché sosteneva questa tesi?
Sull’osservazione che il mondo (soprattutto quello occidentale - USA ed Europa) si era irrealisticamente convinto che la interconnessione fra le economie mondiali aveva costituito una ragnatela di interessi reciproci tali da rendere impossibile un confitto mondiale armato ovvero ad esempio la Russia ormai viveva della provvista monetaria proveniente dall’occidente per esportazioni di beni da non poterne fare a meno: in altre parole gli scambi economici e di produzioni fra gli stati di tutto il globo erano tali che ormai si era realizzato un mercato mondiale che tratteneva le elite politiche dell’avventurarsi in crisi conflittuali che avrebbero potuto minare la ricchezza e stabilita del proprio paese (con la conseguenza positiva di una pace duratura).
Insomma (concludo io) l’economia internazionale era lo scudo protettivo che avrebbe evitato ogni guerra.
Sosteneva Fabbrini che invece la guerra in Ucraina dimostrava il contrario (perché I’interesse economico non era basato a trattenere la Russia dall’aggredire I’Ucraina), e più ancora che la storia non e prevedibile in quanto ci sono sempre le ambizioni, le follie degli uomini che possono cambiare il destino dell’umanità (vedasi Hitler).
Questa considerazione del Fabbrini mi ha fatto a lungo riflettere: recentemente però, sono arrivato ad un contrario avviso.
Nel suo discorso di apertura alla COP 27, che si è aperta in Egitto, il segretario dell'Onu Guterres ha lanciato l'ennesimo grido di allarme: ovvero siamo vicino alle porte dell'Inferno (come abbiamo provato anche noi la scorsa estate).
Il mondo non sembra essere disposto ad ascoltare.
Altre emergenze incombono sul pianeta, I’inflazione, il rischio di recessione, la crisi energetica, le pandemie, il terrorismo internazionale.
Queste emergenze planetarie, che corrono trasversalmente, ci danno conto che dalla globalizzazione delle soluzioni dei problemi non si può uscire.
Nel senso che non è possibile immaginare di ricreare spazi separati su un pianeta non solo integrato da un punto di vista tecnologico (si pensi ad un whatsapp che invio in tempo reale nello stesso esatto momento in India, in Giappone, in Antartide, etc.), scientifico (si pensi alla ricerca di vaccini che ha sconfitto il Covid inventando appunto vaccini nell'arco di pochi mesi, con diffusione planetarie e salvezza di milioni di persone); economico (si pensi ai PIL che si azzerano rispetto alle previsioni della Banca Mondiale per i riflessi delle crisi internazionali), energetico (e qui non sto a fare esempi).
Ma, seppur trascurata, perché quella apparentemente meno avvertita (ma arriverà una nuova estate nel 2023), quella climatica.
Dunque la questione e verso quale globalizzazione ci stiamo indirizzando? Nel corso degli anni Papa Francesco ha più volte parlato di “globalizzazione dell’indifferenza”. Un mondo in cui ogni singolo individuo ed ogni singolo Paese - concependosi come sovranità assoluta - poteva disinteressarsi di ciò e di chi gli stava attorno.
Un’illusione pericolosa purché rischia adesso di trasformarsi “globalizzazione dei conflitti”:successione senza soluzione di continuità di emergenze e tensioni che si scaricano - in forme più o meno violente - all'interno dei singoli stati o fra Stati (si pensi al tema globale dell'immigrazione che dovrebbe essere risolto trasversalmente da tutti gli Stati europei e che invece crea conflitti all'interno di uno stesso Stato (Italia) e fra stati (Italia e Francia).
È questo infatti il senso profondo degli shock che ci stanno colpendo l'uno dopo I'altro e di cui non si vuol riconoscere il fondamento comune.
Il dissesto climatico, l'emergenza sanitaria, le grandi migrazioni, le crisi energetiche non sono eventi che si susseguono più o meno casualmente, e che possono essere affrontati in modo "segmentato"e strettamente nazionale.
Sono fattori che si richiamano l'un l'altro con un effetto domino che dovrebbe seriamente preoccuparci, tutti, nessuno escluso. È il tema della complessità, cioè della interdipendenza del mondo che abbiamo costruito.
Anche una guerra combattuta su un territorio diverso dal nostro(Ucraina),induce a conseguenze transnazionali evidenti: questo conflitto è un fattore di crisi planetaria che mette in discussione non tanto gli assetti geopolitici globali; causa conseguenze economiche profonde sulle imprese (crisi energetica), genera problemi di mal nutrizione di un intero continente, l’Africa che aggrava drammaticamente i processi migratori: la gente scappa perché ha fame.
Tutto questo ha implicazioni sulla stabilità politica di molti Paesi (si pensi anche all’Italia per I’inevitabile conflittualità permanente che continuerà sul tema dell’immigrazione).
Ed aggrava altresì le spinte fondamentalistiche di certi regimi: vedasi di recente la Turchia.
Tutte queste enormi complicazioni ci allontanano altresì dal fenomeno impellente dei cambiamenti climatici.
Gli Stati continuano a ragionare in termini di sovranità territoriale; gli individui a pensare in termini di interesse individuale.
Come se fossimo ancora nel XX secolo.
Al di là della legittima aspirazione ad una maggiore prosperità personale, oggi abbiamo questioni comuni che richiedono spirito di cooperazione planetaria, ma che parte del nostro ego non avverte.
Che mi serve essere ricco in un paese, se ci sara una permanente siccità, un caldo intollerabile, un'impossibilità ad utilizzare risorse energetiche che mi difenderanno dal caldo o dal freddo, in un paese che, di conseguenza, non produrrà più derrate alimentari per I'Inferno climatico.
L'unica strada per evitare l'escalation dei conflitti (di tutti i conflitti, non solo quelli militari, destinati questi a finire primo o poi; gli altri invece perdurano e si aggravano) e dunque la "globalizzazione delle soluzioni" che impone una cultura politica internazionale diversa, in cui ormai I'ONU è fatiscente, anzi quasi controproducente con i voti che lo condannano ad una perenne immobilità e quindi inutilità.
L'eredita della prima stagione della globalizzazione - quella economica - che il Prof. Fabbrini (che ho citato nel mio incipit) dichiara fallita, e che pure ha permesso al mondo di avere pace per 70 anni (nel mondo occidentale) la nostra generazione italiana è la prima negli ultimi secoli a non aver vissuto una guerra.
Questa eredità ha bisogno di una vera e propria rivoluzione di mentalità collettiva (statuale) ed individuale.
Di fronte all’elenco quasi sterminato dei problemi che dobbiamo affrontare, nessuno di noi prende atto che la realtà e cambiata:non basta più migliorare la nostra ricchezza economica statuale ed individuale.
Non servirà a farci star meglio.
C'e bisogno di un modo di pensare concreto, quotidiano basato sulla collaborazione e l'intelligenza del bene comune.
L'unica speranza, che temo non si realizzi, consiste nell'abbandonare la concezione giudaico-cristiana che prevede l'uomo al vertice del creato, con la terra che Dio gli ha consegnato per il suo dominio: «Dominerai sugli animali della terra, sui volatili del cielo, sui pesci della acque marine» (Genesi, 26) e forse invece va ricordato Eraclito che sosteneva «Questo cosmo, che e il medesimo per tutti, non lo fece nessuno degli dei né degli uomini, ma sempre era, è, e sarà fuoco sempre vivente che si accende e si spegne, secondo giusta misura» (ecco in Eraclito, la sostenibilità).
Per concludere col biologo Edward Wilson «L'umanità, col suo potere distruttivo, è la prima specie nella storia della vita a diventare una forza geofisica» (citazione dal libro La Creazione, Aldelphi).
Bisogna passare dall’antropocentrismo, che pensa all'uomo come arbitro del creato e della natura, al biocentrismo in cui l'uomo deve rispettare la natura e non ha alcuna supremazia sulla stessa.
Ed ecco la rivoluzione copernicana biologica, occorre passare ad un'etica planetaria dove non I’uomo, ma la vita della Terra diventa la misura di tutte le cose.
Oggi, I'umanita ha un solo nemico, sé stessa: nessuna generazione si era mai spinta fino a quei limiti che incominciano a registrare l'irreversibilità dei processi naturali.
C’è, a questo riguardo, un bel libro di Romain Gary: "La vita davanti a sé” in cui il protagonista conclude: «Bisogna voler bene» e volersi bene, aggiungerei, alla terra se vogliamo bene agli uomini. Andrea Del Re